Nunzio Rotondo si impose all'attenzione internazionale fin da quando partecipò, in rappresentanza dell'Italia, al "Festival del Jazz" di Parigi e con il suo concerto ottenne il trionfo tra gli applausi di un pubblico colto (e anche diffidente) che affollava la Salle Pleyel. Di lui scrisse, in termini entusiastici, anche il critico musicale del "Figaro" che definì Rotondo "la risposta europea al jazz di Miles Davis".
In effetti Rotondo ha da sempre trovato in Davis un punto di riferimento e gli stimoli per rintracciare un proprio personale percorso. Percorso che lo ha portato in giro per il mondo accanto ai più importanti solisti europei e statunitensi (citiamone due per tutti: Dizzy Gillespie e Sonny Rollins). Anche il sommo Duke Ellington lo invitò a far parte della sua orchestra durante una tournée italiana.
Rotondo ha inventato il jazz moderno, quello dei Gillespie, dei Davis, dei Konitz, nella piccola Italia che nel dopoguerra scopriva con la musica dei “liberatori” quella ventata di libertà e di innovazione che circolava nelle aspirazioni di una nuova generazione finalmente non più sottomessa al giogo anche culturale imposto dal fascismo.
Nunzio ha fatto studi regolari e si è diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia, naturalmente a pieni voti. Ma le orchestre che, dopo la liberazione di Roma, accompagnavano le truppe americane, gli confermarono quel gusto per l’improvvisazione che tanto scandalizzava i suoi accademici docenti. Fra Nunzio e il jazz fu amore a prima vista. Un amore che dura da tutta una vita. Rotondo è musicista colto e raffinato, così raffinato da sottomettere il suo innato virtuosismo a una sorta di autocensura come solamente i grandi solisti sanno esprimere. “E’ facile suonare”, pensa il pubblico, e non sa quanto lavoro, quanto studio, quanti sacrifici costi all’artista dare l’impressione di stare eseguendo “con facilità” un passaggio, una frase che invece sono di una complessità inimmaginabile.
Al musicista grande corrisponde, in Nunzio, un uomo dal volto cordiale, dai sentimenti caldi, autentici. Le sue trasmissioni radiofoniche, nelle quali alternava alla musica lunghi e intelligenti monologhi colloquiali con il suo pubblico, erano seguite (anni Ottanta) anche dal presidente “partigiano” Sandro Pertini. Nacque un’amicizia epistolare, poi finalmente Nunzio conobbe di persona il grande vecchio.
Quando racconta di Pertini si commuove: “Ma sapete che significa sentirsi elogiati (non dico ammirati) da un uomo di quel calibro, di quella cultura? Pertini era un uomo cordiale, profondamente gentile, aggiornato su tutto. Tra i suoi hobby c’era anche il football (ricordate il suo entusiasmo durante i campionati del mondo?) e infine il jazz, che forse aveva ascoltato quando negli anni della Resistenza seguiva le trasmissioni di Radio Londra, il colonnello Stevens, il premier Winston Churchill e talvolta l’orchestra di Glenn Miller”.
La storia di Nunzio Rotondo si può ridurre in una frase: “una vita per il jazz”. In realtà è proprio Rotondo che ha dato un indirizzo a tutto il jazz italiano dagli anni Cinquanta in poi. Decine di solisti, non solamente trombettisti, hanno tratto insegnamento da lui, cercando di imitarlo nel fraseggio, nel suono, nello stile. Qualcuno c’è quasi riuscito e ha fatto strada. Ma nessuno raggiungerà la sua classe inimitabile, nessuno riuscirà mai a riproporre quella vena poetica e lirica che fanno dello “stile Nunzio Rotondo” qualcosa di unico e irripetibile.
Oggi è tra i grandi protagonisti della nostra collana
Via Asiago, 10 con il
N° 4 a lui interamente dedicato.