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Un po' di storia: la fruizione radiofonica
Con l'Uri, prima, e dal 1927 l'Eiar nasce in Italia il primo vero monopolio pubblico fondato fortemente sulla funzione sociale che il regime, pur con molte riserve, riconosceva al mezzo. "In questa fase le potenzialità d’intrattenimento del mezzo radiofonico non vengono nemmeno ipotizzate". Una prova è costituita dalla primissima programmazione radiofonica, tutta volta all’educazione e alla pedagogia per attivare i legami sociali. Allo stesso tempo, tuttavia, la radio fascista produceva informazione di qualità, anche se evidentemente manipolata, mostrando un'ottima capacità tecnica e un'attenzione non comune alle grammatiche espressive del nuovo mezzo. Inoltre, e questo dato è molto interessante, l'Eiar svilupperà presto, anche se con lentezza, una discreta attenzione ai gusti del pubblico: non è un caso che negli anni Trenta si assista all'esplosione della musica "leggera" nella programmazione radiofonica, che diventerà anche strumento di traino per l'industria fonografica. La diffusione della radio e la penetrazione del disco furono, all'epoca, strettamente intrecciate Nel 1927 il 70 per cento delle trasmissioni radiofoniche sono di musica (24classica, 21leggera, 14 canzoni popolari, 10 da ballo, 1 religiosa) mentre ai notiziari è riservato il 12 del tempo e un 7 è dedicato ai bambini. Nel 1931, dopo anni di diffidenze e pesanti critiche al nuovo mass medium, anche il Vaticano installa la sua stazione radiofonica (Radio Vaticana). Il regime fascista cercò presto di ingabbiarne i contenuti ma non riuscì a imporre la sua retorica spressiva. Insomma la radio fascista non riusciva a essere pienamente fascistizzata. Significativa, in tal senso, che era presente una grossa divaricazione fra gli intellettuali del regime e i gusti del pubblico radiofonico. Nel 1938, per esempio, si registrarono velenosi commenti contro la presenza delle "canzonette" ritenute portatrici del degrado, mentre tre anni prima il padre del futurismo, Marinetti, aveva duramente contestato il cattivo gusto degli ascoltatori. Ma di fatto, per la sua relativa semplicità ed economicità la tecnologia radiofonica dagli anni ’30 agli anni ’50 ottenne in breve tempo un'amplissima diffusione, e costituì la prima radicale innovazione nelle comunicazioni di massa dopo l'invenzione della stampa. Come sempre accade, la tecnologia, una volta messa a punto, ha generato nuovi contenuti, linguaggi, immaginari. Ed anche produttori e prodotti, consumi e consumatori. In questi anni la gestione delle radio e delle trasmissioni, anche a causa del costo della tecnologia trasmissiva e degli studi, è rigidamente in mano agli stati nazionali. Le trasmissioni avvengono in AM. Ma siamo forse nella fase più viva della storia della radio, dove la sperimentazione è massima, dove il concetto di “diretta” è al suo stato più avanzato, e, dove i programmi si scrivono interamente e minuziosamente. Questo è il periodo della radiofonia in cui si sofferma gran parte della produzione di Via Asiago, 10. Speculare, per certi versi, all'epoca post-pionieristica (anni ’30 -’60) della radio è il periodo di nascita e sviluppo delle radio libere, gli anni Settanta. Anche in questo caso è la liberazione del gusto e delle grammatiche espressive che precede nuove modalità organizzative e produttive. Tale autonomia è quella che, almeno in parte, si manifesta sia negli interstizi della radio fascista sia nelle pieghe di un sistema mass-mediatico istituzionalizzato. Nell'epoca di massima crisi del cinema, è la musica a mostrare segnali di progresso, eppure il suo stile di fruizione cambia: diminuiscono le spese per il juke-box mentre aumentano quelle per i dischi. Come per la televisione è la fruizione collettiva ridotta che viene abbandonata, in favore di due stili che reciprocamente si rafforzano: a) l'ascolto personale domestico e b) la partecipazione ai concerti di musica pop (dai cantautori al rock e alle altre forme espressive), che si avviano a diventare gradualmente veri e propri eventi mediali. Per un lungo periodo convivono radio fortemente "politicizzate" (le radio di movimento) ed emittenti che privilegiano l'offerta di musica: sono però queste ultime ad avere il sopravvento e innestare articolati processi di cambiamento nel mercato dei media, riuscendo persino a definire processi di identificazione nazionale e, comunque, generazionale. L'uso della radio come mezzo di "liberazione" fu tipico anche del fenomeno delle cosiddette radio pirata in Gran Bretagna. Anche in quel caso fu la musica a decretarne il successo. È evidente, infatti, che la radio si muove nell'industria culturale nazionale fra assorbimento e interdizione, sospesa fra spinte omologatrici e improvvisi impeti rivoluzionari. Un caso evidente di "assorbimento" è rappresentato proprio dalle radio libere: di origine esterna al sistema ma con un alto grado di compatibilità col sistema stesso (si pensi alle convergenze e alle sovrapposizioni con alcuni segmenti dell'industria fonografica da un lato e di quella dell'informazione dall'altro), esse si posero come co-agenti di cambiamento del/nel gusto musicale. Nonché mezzi tecnologici "dalla parte del pubblico", svolgendo un ruolo di vera e propria rappresentanza sociale, spesso di tipo identitario. Una delle peculiarità delle radio private, infatti, fu l'interazione col pubblico: telefonate in diretta e "dediche". Lanciata qualche anno prima da Radio Montecarlo, la "dedica" costituiva uno spazio di programmazione "a richiesta": il pubblico diventava in parte produttore del flusso radiofonico.  
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