È giusto che spetti ad un grande del jazz come Nunzio Rotondo la possibilità di pubblicare
un secondo disco per la nostra prestigiosa collana. Grazie al primo – Nunzio Rotondo: Sound
and Silence – gli elogi, i segni tangibili di ringraziamento (al jazz e al protagonista del medesimo,
prima che a noi) erano stati talmente eloquenti e carichi di entusiasmo da farci capire
che eravamo sulla strada giusta. Pubblicare un disco del trombettista romano costituisce
sempre un evento, un fatto a sé all’interno del jazz e anche della vicenda professionale di
questo straordinario musicista. Già, perché il cruccio dei veri appassionati di jazz è che
forse, in oltre un cinquantennio di attività, Rotondo avrebbe meritato una più vasta pubblicazione
discografica. A ben guardare non è poi così sterminata la sua discografia, questo non
perché non siano mancate le offerte o le proposte, tutt’altro, semplicemente perché Nunzio,
jazzista immacolato e artista schivo, ha preferito così. Certo, con il senno di poi, sarebbe
stato un bene avere a che fare con una folta serie di pubblicazioni, soprattutto considerando
le esigenze degli addetti ai lavori e degli appassionati, che nel suo caso non sono pochi.
Ma forse è meglio così. L’eccezionalità è caratteristica insostituibile di Nunzio Rotondo.
The Legend riprende idealmente il discorso dove il precedente album si era interrotto. Le
caratteristiche, il sound, il feeling, l’universo sonoro, diciamo pure il mood jazzistico rimandano
all’opera precedente. Innanzitutto lo swing, autentico collante di tutto il disco, che fortunatamente
non viene mai meno, e soprattutto quel fondale, articolato attraverso un tessuto
solistico prezioso e ricercato, sempre in grado di sfruttare quel patrimonio accordale e
architettonico che ne costituisce l’essenza. La vibrante ricchezza del linguaggio, la capacità
di creare con pochi segni essenziali una situazione espressiva inconfondibile. Rotondo è
tutto questo e anche stavolta non rinuncia al suo mondo poetico, tralasciando il superfluo e
l’esornativo per concentrarsi sul trionfo della misura, attraverso la quale si estrinseca l’estrema
verità poetica della sua musica.
The Legend, sia per repertorio che per tematicità, ma anche per il drappello di musicisti utilizzati,
non si distacca molto dal precedente disco. I brani appartengono ad un periodo davvero
straordinario, scelti con grande cura in perfetto accordo con la supervisione dello stesso
musicista. Riguardo ai musicisti, compaiono alcuni dei fedelissimi fra coloro che hanno
avuto la possibilità di lavorare al fianco del trombettista. L’attenzione maggiore degli appassionati
si concentrerà probabilmente ancora una volta su Franco D’Andrea e Gato Barbieri.
Per quanto riguarda il pianista di Merano – che è giusto considerare una scoperta di Rotondo – si può solo aggiungere che lo swing, il rigore delle frasi, quel personalissimo
modo di lanciare il leader sono qui già una realtà. Rotondo forse non è un musicista facile, ma tutte le volte che ha sentito la necessità di esprimersi
lo ha fatto a livelli molto alti. Lasciando il segno.
Recentemente ha varato un suo
myspace. È bastato qualche
giorno per ricevere i complimenti e le felicitazioni di centinaia di artisti, da Quincy Jones a
Sting, da Herbie Hancock a Toots Thielemans fino a Jovanotti. Saluti che cominciano tutti
allo stesso modo e a cui orgogliosi ci uniamo: “Grazie, Nunzio!”.