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ANNO RILASCIO |
0000 |
SUPPORTO |
CD |
LABEL |
Via Asiago, 10 |
VOLUMI |
1 |
Nr. CATALOGO |
TWI CD AS 09 50 |
DOWNLOAD |
€ 10,00 |
BARCODE |
8032732535583 |
ACQUISTO |
€ 14,00 |
Il 26 gennaio 1960 alle ore 22 sul Secondo Programma Radiofonico fu dato il via alla trasmissione “La
Coppa del jazz”. Per otto settimane 16 complessi si esibirono, due a due, in accoppiamenti effettuati per
sorteggio. Per la prima volta la Rai si impegna in un progetto jazzistico ad ampio respiro. Già nei mesi
precedenti l’ambiente del jazz era entrato in agitazione: il bando di concorso non faceva differenze fra
professionisti e dilettanti, giovani e meno giovani. Tutti si sarebbero potuti iscrivere, indipendentemente
dai generi e dallo stile. La “specificità” jazzistica sarebbe stata accolta o respinta da una commissione di
esperti. Per mesi nella sparuta ma permalosissima cittadella del jazz non si parlò di altro. Si iscrissero
oltre 80 formazioni, quasi tutte con buona attività professionale alle spalle, ridotte a 16 dopo una serie di
selezioni all’interno delle varie sedi Rai. Queste le sedici formazioni finaliste: Enrico Intra Trio
(Milano),Quartetto Sergio Mondadori (Bologna), Seconda Roman New Orleans Jazz Band (Roma),
Quintetto di Torino (Torino), Modern Jazz Gang (Roma), Riverside Jazz Band (Milano), Gil Cuppini Quintet
(Milano), Rheno Dixieland Band (Bologna), Bohukus Trio (Torino),Vittorio Paltrinieri e il suo Complesso
(Milano), Amedeo Tommasi Trio (Bologna), Riverside Syncopators Jazz Band (Genova), Giampiero
Fontana e il suo Complesso (Milano), I Quattro del Sud (Bari), Lazy River Band Society (Asti), Quintetto
Moderno (Udine). “La Coppa del Jazz” nasce da un’idea di Vittorio Zivelli e Piero Vivarelli, a quell’epoca
già noti nel mondo del jazz e della musica leggera. Zivelli, napoletano, ideatore della fortunata trasmissione
“Il Discobolo”, fra i primi dirigenti Rai a poter vantare un soggiorno professionale negli Stati Uniti (in
anni in cui lo scarto radiofonico fra Italia e America era veramente abissale), nonostante le numerose intuizioni,
si apprestava ad abbandonare la radio (a cui avrebbe fatto ritorno) per occuparsi del nascente
Secondo Canale. Piero Vivarelli, regista e giornalista, viveva i suoi frenetici anni rock and roll: aveva appena
firmato Il tuo bacio è come un rock e in quei mesi avrebbe composto, sempre per Adriano Celentano,
24.000 baci. Al termine della prima fase la giuria dava l’impressione di essere totalmente sfaldata: liti,
accuse di incompetenza e cavilli tecnici portarono a inevitabili dimissioni. Una giuria composta peraltro
da note firme della critica specializzata e apprezzati musicisti. Questa la composizione: GiancarloTestoni,
Piero Piccioni, Livio Cerri, Roberto Nicolosi, Giovanni Attilio Baldi, Salvatore G.Biamonte, Mario Cartoni,
Alfredo Luciano Catalani, Mino Caudana, Angelo Nizza, Piero Umiliani, presidente Angelo D’Angelantonio.
La concezione di un torneo non deve comunque far pensare a qualcosa di meramente agonistico.
Diversamente da quanto sarebbe accaduto in seguito, i gruppi in gara potevano disporre di tutto il tempo
che desideravano, non c’erano brani sfumabili o assoli ridotti. A ciò si aggiunga la meticolosa “gabbia”
allestita dagli autori, che prevedeva, per ogni formazione, un brano a piacere (sia edito che di propria composizione), un “obbligato”, un tema da un minuto su cui improvvisare e qualche volta addirittura una
jam session fra le due formazioni in gara. Come si vede non certo una “Canzonissima” del jazz, quanto
piuttosto una pedana artistica di tutto rispetto, addirittura complessa nella sua articolazione. Forse è per
questo che i musicisti non solo non protestarono per l’insolita gara ma si dimostrarono addirittura entusiasti.
Le semifinali portarono alla luce il seguente verdetto: Quintetto di Torino (92,00), Enrico Intra Trio
(88,90), Gil Cuppini Quintet (85,08), Modern Jazz Gang (83,63). Ma evidentemente i giochi non erano
ancora finiti. Il nostro disco presenta le quattro formazioni finaliste, presenti con una selezione del repertorio
eseguito nelle varie puntate della trasmissione. Il programma riflette pienamente il clima jazzistico
italiano di quel periodo, fondamentalmente diviso fra “tradizionalisti” e “modernisti”. I primi, instancabili
sostenitori del dixieland e dello stile New Orleans, erano organizzatissimi e potevano contare su agguerrite
schiere di fan che li seguivano in pullman ovunque. I “trad” indossavano montgomery e portavano i
capelli a spazzola e per loro il jazz era finito a Chicago. I modernisti si dividevano in due categorie: i
seguaci della West Coast, ovvero il cosiddetto jazz californiano, genere prevalentemente bianco, e quelli
che invece avevano scelto l’hard-bop, uno stile che rivalutava la matrice afro-americana e che aveva
come epicentro artistico New York. Forse un concetto un po’ primitivo di interpretare il jazz, a base di neologismi
vuoti – tipico quello fra jazz caldo e jazz freddo, errata traduzione dei termini “hot” e “cool” – ma
di fatto carico di suggestioni e febbrili entusiasmi. A spuntarla fu proprio il jazz moderno, locuzione usata
solo in Italia, per indicare tutti gli stili che si imposero dal be bop in poi, dunque a partire dalla metà degli
anni Quaranta. Questo il verdetto finale: Gil Cuppini Quintet (96,27), Quintetto di Torino (94,63), Enrico
Intra Trio (90,77), Modern Jazz Gang (88,33). L’hard bop di Cuppini, in quel momento il più noto batterista
italiano, prevalse sul californiano del quintetto guidato da Dino Piana. Ma al di là degli stili la “Coppa
del jazz” si impose per gli intenti divulgativi nei confronti di un genere di musica che fino a quel momento
era rimasto ai margini della programmazione radiofonica. Naturalmente non mancarono le polemiche,
che proseguirono per mesi nelle riviste specializzate. Il cruccio degli appassionati – e per la verità della
stessa giuria – era fondamentalmente quello relativo alla valutazione, che non teneva conto dei diversi
generi di appartenenza e degli organici. I gruppi in gara proposero di fatto la scaletta dei loro concerti,
alternando temi originali a standard, ma forse il vero problema era proprio nella diversa natura dei jazzisti.
Nelle formazioni si mischiavano i professionisti, che quasi sempre per motivi di sopravvivenza alternavano
il jazz alla musica leggera e al night (qualcuno anche al circo), ai dilettanti, cioè coloro che, indipendentemente
dalla perizia, svolgevano abitualmente altre attività. Per non parlare della folta schiera dei musicisti che già facevano parte delle orchestre della Rai, che dal punto di vista jazzistico venivano considerati
in modo molto snob ruoli “impiegatizi” (forse per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato con
l’azienda), anche se quelle formazioni contenevano il meglio del solismo italiano. La trasmissione, nel suo
rigore formale, comprese le presentazioni di Brunella Tocci e l’imbarazzo dei musicisti, sempre un po’
goffi nel parlare, rimanda a un momento indimenticabile del jazz italiano. Un documento imperdibile per
tutti gli autentici appassionati, in grado di testimoniare la disponibilità dei musicisti a mettersi gioco, privi
di ogni remora. Qualcosa di impensabile nell’odierno scenario jazzistico. Il repertorio, le registrazioni e la
qualità del jazz proposto testimoniano come e in che modo il jazz italiano si apprestava a vivere una grande
stagione, grazie all’apporto di musicisti giovani e validi, fortunatamente in gran parte ancora attivi. |